ovvero, quando il desiderio è più forte della paura, ovvero,
dell’arte del dubbio 
dall'opera omonima di Bertolt Brecht
progetto Elena Bucci e Marco Sgrosso
regia Elena Bucci con la collaborazione di Marco Sgrosso

con Elena Bucci (Giovanna Dark), Marco Sgrosso (Pierpont Mauler), Maurizio Cardillo (Sullivan Slift), Gaetano Colella (Paulus Snyder), Marco D'Amore /Renato Avallone (Cridle), Andrea de Luca (Graham), Nicoletta Fabbri (Signora Luckerniddle), Roberto Marinelli (Gloomb) e musicisti, operai, Cappelli Neri, giornalisti, grossisti, allevatori
traduzione Franco Fortini - musiche dal vivo Dimitri Sillato - luci 
Maurizio Viani - costumi Ursula Patzak - musiche originali Andrea 
Agostini - suono Roberto Passuti, Raffaele Bassetti - assistente alla 
regia Giulia Torelli - responsabile tecnico/primo elettricista Loredana 
Oddone - direttore di scena/primo macchinista Giovanni Macis - ufficio 
stampa Giulia Calligaro 
si ringrazia per la collaborazione il Teatro Comunale di Russi e Alessandro Sanmartin per l'assistenza
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana in collaborazione con Le belle bandiere
debutto: 28 aprile 2008 - Teatro Metastasio, Prato
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A volte l’arte del teatro, che 
necessita di buio, silenzio ed attenzione in un mondo spaventato che 
sopravvive di frammenti di suono continui, luce obbligatoria, e pratica 
della dispersione, sembra come esiliata dalle vie dei grandi mezzi di 
comunicazione e privata della sua funzione di ‘specchio’. 
Altre 
volte, come in questo caso, cogliamo l’ammicco sapientemente cialtrone 
dei comici dell’arte, e ci domandiamo se questo forzato esilio non sia 
una protezione di pratiche difficili come l’intuizione, la capacità di 
prevedere il nuovo significato delle parole, la forza di creare un 
legame telepatico tra chi persegue l’illusione di generare utopie.
‘Noi siamo i parassiti, gli ultimi uomini che non siano servi, Baal e Karamazov sono dei nostri. Quanto vale una poesia? Quattro camicie, una pagnotta, la metà di una mucca da latte? Noi non facciamo merci, facciamo solo doni.’ (B.Brecht ‘Appunti autobiografici’)
Non 
siamo certo eroi: ma mi diverte osservare come siamo giunti a mettere 
finalmente in scena “Santa Giovanna dei Macelli” di Brecht, autore al 
quale pensavamo da tempo, sul quale abbiamo lavorato a lungo nei 
laboratori del CIMES all’Università di Bologna, e dalla cui “Anima buona
 del Sezuan” fu tratto un assolo in compagnia di musicisti jazz. 
Riflettevamo sulla necessità affrontare, in teatro, la crisi del nostro 
mondo d’Occidente, che sempre più ha l’immagine di una popolazione sazia
 e civettuola che cammina sulla spina dorsale di un animale enorme e 
quasi putrefatto, sempre chiacchierando, lo sguardo in alto, per non 
vedere sporche di sangue le preziose scarpe che reggono il passeggio. 
Se
 ci si avvicina ad ascoltare, il suono del cicaleccio è vuoto, come se 
le parole fossero abiti del nulla. Brecht, discusso, adorato, 
manipolato, mai domato, ci sembrava il compagno giusto. 
Pensavamo 
appunto all’“Anima buona del Sezuan”, temporaneamente bloccata nella 
prigione dei diritti d’autore. Quando Federico ci interpellò riguardo ad
 un progetto su Brecht, abbiamo riletto “Santa Giovanna dei Macelli”, 
testo amato e temuto per la sua difficoltà di realizzazione, e abbiamo 
capito che proprio quello era il lavoro da affrontare: ecco che i 
misteriosi legami a distanza del nostro guitto mestiere ci avevano 
impigliato. 
Lì c’era tutto quello che volevamo dire e non dire: le 
illusioni cadute e quelle rimaste e le parole da rinominare: alto e 
basso, bene e male, denaro, borsa, mercato, Dio, poveri, ricchezza, 
crudeltà. 
C’era il risultato della pratica del dubbio e della 
libertà esercitata da Brecht, che, con l’apparente innocenza dei bambini
 e con il loro coraggio che non teme la morte, innesca improvvise 
distruzioni e costruzioni, non esita a mischiare gli elementi, i 
linguaggi, le discipline e gli stili per trarne una cosa nuova e viva 
che, per quanto possa essere sbilenca, criticabile, paradossale, trova 
il nodo complesso al quale la ragione ordinata non arriva più.
‘Per un certo lavoro teatrale mi occorreva come sfondo la borsa del grano di Chicago. Pensavo che non ci sarebbe voluto molto per procurarmi le necessarie informazioni, ponendo alcuni quesiti a specialisti e gente del ramo. Le cose andarono diversamente. Nessuno, nè alcuni noti scrittori di economia nè uomini di affari, nessuno fu in grado di illustrarmi in maniera soddisfacente l’andamento della borsa del grano. Ne ricavai l’impressione che tale andamento fosse assolutamente inesplicabile, cioè inafferrabile da parte della ragione, il che voleva poi dire semplicemente irragionevole. Il criterio con cui venivano ripartiti i cereali mondiali era assolutamente incomprensibile. Da qualsiasi punto di vista, tranne che da quello di un pugno di speculatori, questo mercato del grano non era altro che un unico, immenso pantano.’ (B.Brecht ‘Appunti autobiografici’)
Ci siamo 
trovati davanti una favola con un profumo di antica tragedia, anche se 
risuona come se fosse stata scritta ora: ci sono i due eroi antagonisti,
 i loro lunghi monologhi, c’è il coro. 
C’è una tessitura del testo 
che implica la costruzione di una contemporanea opera musicale, unendo, 
come ci sembra necessario, suono, gesto, parola in un unico spartito che
 rispetta la complessità del linguaggio teatrale. 
Immaginiamo la 
presenza in scena di un musicista compositore con il quale da tempo 
lavoriamo, con il suo computer, la tastiera, la calda fisarmonica, 
mentre gli attori, cialtroni finti musicisti, stravolgono i clichè del 
musical americano, del varietà, dell’opera lirica e di quella 
contemporanea, della televisione e della pubblicità, per rivelare poi la
 loro miseria di cantori senza voce e musicisti senza strumenti, 
facendosi essi stessi non personaggi, ma coscienti mentitori. 
Dopo 
un’ illusione iniziale di ordinato, compassato concerto, lo spazio sarà 
sempre più vorticosamente mutato dalla luce, mossa dagli stessi attori, 
costretti a un doppio ruolo di tecnici e macchinisti. 
Anche per 
quanto riguarda scene e costumi praticheremo il gioco del ‘riciclaggio’:
 visto che oggi l’apparente valore principale di ogni cosa - anche per 
quanto riguarda la cultura - è oggi quello di essere nuova e per quanto 
possibile costosa, proveremo fare il gioco di rendere nuove, con 
l’esercizio del lavoro, cose usurate, abusate e vecchie, così, giusto 
per sfida ed esperimento. 
Il gioco di abbassare i costi di produzione forse, al presente, ha a che fare con la libertà? 
Ci
 sembra, con questo lavoro, di poter aggiungere una nota alla musica che
 in molti andiamo cercando, per accompagnare e sopportare il faticoso 
risveglio dopo l’ubriacatura di un benessere bugiardo. Dovremo guardare 
con altri occhi - e poi descrivere con altre parole - un paesaggio che a
 tratti appare disegnato da una guerra, accaduta mentre sognavamo il 
paradiso. E bisogna che la musica sia lieve, perché non si spenga la 
capacità infante di rialzarsi dopo ogni caduta.
Riguardo al testo:
Chicago
 1929, il costo del denaro crolla e tonnellate di succulenta carne cruda
 bovina vengono dati alle fiamme per risollevare le sorti dell'economia.
 
Carne di buoi e di vacche con lo stesso valore di quella di un 
esercito di speculatori, azionisti, fabbricanti, allevatori, vedove, 
operai, risparmiatori, che intraprendono una disordinata guerra 
reciproca nel tentativo amaramente grottesco di sopravvivere al disastro
 dei tempi, ma è la storia di una battaglia perduta... 
Il re della 
carne Pierpont Mauler, squalo- filantropo dal cuore sensibile e l'anima 
tormentata da lancinanti rigurgiti di coscienza, non rinuncia a sognare 
una futura espiazione e intanto segue scrupolosamente gli astuti 
consigli dei suoi misteriosi amici banchieri di New York, restando a 
galla mentre attorno a lui alleati e nemici annegano a turno... 
A 
risollevare gli spiriti è preposto un altro “esercito”, i Cappelli Neri,
 nel cui seno opera instancabile e appassionata la candida missionaria 
Giovanna Dark, che assume e somatizza nel suo misero corpo umano 
l'immane peso della sofferenza dei derelitti, combatte l'ingiustizia e 
predica ad un mondo sordo la luce della carità cristiana... 
Armata 
di incrollabile fede, Giovanna ha occhi limpidi che ipnotizzano e 
terrorizzano Mauler ma la sua onestà senza prezzo la renderà vittima del
 gioco dei furbi. 
Mentre la carne (cruda o inscatolata) torna 
vittoriosa sul mercato, la 'pasionaria' commette un errore e muore 
santificata in una estrema beffa... 
In bilico fra tragedia, 
commedia, sacra rappresentazione, cabaret e operetta, Brecht - come già 
nell'“Anima buona del Sezuan” - racconta con acida ironia un'altra 
favola amara sul Bene e sul Male, dove l'entità unica ma “spezzata in 
due” di Shen-Tè/Shui-Tà si scinde decisamente nei due diversi corpi di 
Giovanna Dark e di Pierpont Mauler, mentre un'ombra dei tre buffi Dèi 
scesi a controllare lo stato del mondo sopravvive vaga negli invisibili 
acutissimi banchieri newyorkesi. 
Chicago 1929... ma è la stessa storia di altri luoghi e di altri tempi!
altre note su Santa Giovanna servizio Retroscena rassegna stampa