di Ariel Dorfman
progetto Elena Bucci e Marco Sgrosso
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Maurizio Cardillo, Gaetano Colella
traduzione
 di Alessandra Serra - luci Loredana Oddone - drammaturgia del suono e 
registrazioni Raffaele Bassetti - macchinismo e direzione di scena 
Giovanni Macis - cura e assistenza all’allestimento Nicoletta Fabbri - 
costumi Nomadea - sartoria Marta Benini
Le belle bandiere con il sostegno di Regione Emilia-Romagna, Provincia 
di Ravenna, Comune di Russi e la collaborazione di Pro Loco Russi
debutto: 15 aprile 2015, Teatro Comunale, Russi (RA)
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«L’azione si svolge ai giorni nostri, probabilmente in Cile, ma potrebbe
 trattarsi di un qualsiasi altro Paese che ha appena ottenuto la 
democrazia dopo un lungo periodo di dittatura.» Così scrive Dorfman e 
subito sentiamo quanto queste parole possano riferirsi a molti paesi e a
 molte città. Il nostro sguardo, da una piccolo punto geografico, si 
allarga al mondo intero e alla sua storia.
Siamo in una casa sospesa tra mare e cielo, isolata. In una notte di 
pioggia Paulina Salas aspetta che il marito, Gerardo Escobar, ritorni 
dopo avere avuto un importante incontro politico che gli varrà un 
incarico di prestigio e di grande responsabilità nel nuovo governo 
democratico: è stato invitato a presiedere la commissione di indagine 
sui crimini della dittatura.
Gerardo porta con sé un uomo brillante e intelligente, Roberto Miranda, 
che lo ha soccorso per un guasto alla macchina. Nel clima disteso 
generato dal nuovo respiro di speranza che permea tutto il paese, è 
naturale invitarlo in casa prima che riprenda il suo viaggio, nonostante
 l’ora e il luogo isolato. 
Un suono, una vibrazione della voce, trasformano un incontro casuale in 
un viaggio nel tempo che rivela identità impreviste e riflessi segreti 
nelle relazioni tra loro, aprendo squarci inattesi sulle ragioni che 
trasformano, di volta in volta, in vittime o carnefici, traditi o 
traditori. 
Le domande intorno a giustizia, verità e vendetta risuonano come echi di antiche tragedie.
Studiamo le dittature del secolo scorso, le tragiche ripetizioni della 
storia, il fascino del potere e della prepotenza, la memoria e l’oblio, 
utilizzando la forza che ha il teatro quando incrina la superficie della
 realtà per fare emergere incubi, sogni e speranze, quando apre un varco
 tra passato e presente, tra vivi e morti e attraverso la molteplicità 
dei suoi codici scardina le abitudini percettive per offrire nuovi punti
 di vista. Passiamo dalla sceneggiatura cinematografica al testo 
teatrale, immettendo altre modalità di racconto e rompendo a tratti il 
ritmo serrato con azioni che modificano la relazione tra noi e con il 
pubblico.
La casa sul mare diventa uno stadio affollato di prigionieri, un set 
cinematografico, un tribunale, un’antica città costruita sulla 
necropoli. Le voci si moltiplicano in un’architettura sonora di echi, 
registrazioni, melodie accennate che corrodono la compattezza dei 
‘personaggi’ rendendoli permeabili gli uni agli altri. 
Si rompe il silenzio che deriva dai traumi e dalla incapacità di 
guardare l’orrore. Da una sola storia se ne levano molte altre che 
rivelano a loro volta memorie e testimonianze che allargano lo sguardo 
nel tempo e nello spazio. 
Accanto agli affascinanti personaggi costruiti da Dorfman, scrittore 
poliedrico impegnato nella difesa dei diritti umani e civili del quale 
usiamo anche altri illuminanti scritti, immaginiamo una quarta figura, 
forse uno scrittore, un regista, un testimone che innesca e contrappunta
 l’evolversi precipitoso dei fatti. 
Racconta frammenti di leggende forse accadute, puntualizza cronache 
dalla storia che paiono inventate, trasforma le didascalie teatrali e 
cinematografiche in battute, pensieri, indicazioni contraddittorie. 
Riprende e registra con cura meticolosa: servirà a comprendere, a non 
ripetere, a dimenticare, a condannare, a perdonare?
