rito funebre e amoroso 
regia, interpretazione, elaborazione, scene e costumi Marco Sgrosso
maschera
 Stefano Perocco di Meduna - disegno luci e fonica Loredana Oddone - 
cura del suono Roberto Passuti - assistenza e cura Nicoletta Fabbri - 
sarta Marta Benini 
un ringraziamento a Elena Bucci, Alessandro Serra e Raffaele Bassetti 
produzione Le belle bandiere 
con il sostegno di Comune di Russi e Regione Emilia-Romagna 
“E allora gioca. Gioca, Emma. 
Gioca con quello che ti faceva soffrire”
“L’azione comincia quando comincia la parola... Il teatro è parola. 
Meglio: l’azione sta nella parola. Meglio ancora: “tutto” sta nella parola.” (Alberto Savinio) 
… dedicato a Valeria, alla memoria indelebile del suo talento …
Folgorazione.
 Questa è la parola che determina le mie scelte quando intraprendo un 
percorso teatrale in solo; la parola che periodicamente riaccende il 
desiderio o la necessità di un confronto con me stesso, i miei ricordi, 
la nostalgia della vita che scolora e il bisogno prepotente di oblio, 
con le mie passioni e con le mie paure, le mie capacità e le tante 
incertezze. 
La parola che mi dà il coraggio e l’ebbrezza di tentare un nuovo salto nel vuoto. 
Quasi
 sempre l’aggancio attiene alla fascinazione prodotta in me dalla 
lettura di un testo, non necessariamente un’opera teatrale, che smuove 
qualcosa di profondo, tocca una corda sensibile e mi infiamma. 
È accaduto così per Ella di Herbert Achternbusch, testo che non a caso ha una forte attinenza con questo di Alberto Savinio; poi di nuovo per le Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskji e più recentemente per A colpi d’ascia di Thomas Bernhard. 
Un
 filo sottile unisce queste opere così diverse, scritte da autori 
diversi in tempi distanti: i ritratti scomodi di personaggi malati, 
obliqui, arrabbiati e appassionati, violenti e tenerissimi, in lotta 
feroce con le proprie pulsioni e alla ricerca di una sofferta 
ridefinizione della propria identità; tutti avvolti, stritolati e alla 
fine ‘liberati’ da un fiume di parole che non sono soltanto strumenti di
 senso e di racconto, ma soprattutto partitura della loro anima. 
Nel caso di Emma B.
 la folgorazione non nasce soltanto dalla lettura del testo di Alberto 
Savinio, ma anche dalla memoria vivida di un allestimento visto in 
teatro molti anni fa, con Valeria Moriconi, la cui ‘azione scenica’ 
asciutta e tagliente, in cui gesto e parola si fondevano in 
un’espressività fisica che scolpiva lo spazio, mi entrò nel cuore come 
un coltello affilato nel burro. Dalla memoria di quella visione e delle 
parole scolpite in un modo così intimo in quel corpo di attrice, è nato 
il desiderio di rileggere il testo di Savinio e poi la sfida di metterlo
 in scena. Non credo di avere ancora capito quale demone interiore mi 
spinge a tentare questa ardita esposizione in un ruolo scritto per una 
donna; certamente, a favore di questa scelta, gioca il desiderio di 
indagare la parte femminile che ogni uomo porta in sé, e ogni attore in 
modo particolare, e forse non a caso in un tempo di interrogazioni 
profonde sulla definizione della propria identità. A questo si aggiunge 
il desiderio di rendere omaggio alla memoria di un’attrice che in 
diverse occasioni mi ha stimolato uno stato di esaltazione creativa e la
 curiosità di scoprire nel corpo e nella voce quella ferita preziosa che
 ci hanno lasciato coloro che, in forme e circostanze diverse, abbiamo 
riconosciuto come Maestri.
… “la verità della carne, la verità della pelle, la verità delle viscere” …
Ma
 al di là di queste motivazioni resta il testo di Alberto Savinio, con 
la sua struttura narrativa compatta e tagliente e con la sua intrigante 
ambiguità in bilico tra passione e gelo: testo che, a 75 anni dalla 
prima pubblicazione, conserva un fascino oscuro e una stupefacente 
freschezza di scrittura, dove il naturalismo è inquinato da pause, 
diversioni e incrinature che ne fanno una partitura per voce sola in 
equilibrio tra espressionismo e simbolismo. 
Non ultima, c’è 
l’urgenza di ritornare periodicamente alla memoria che rimanda alle 
radici e alla biografia personale. La perdita del figlio denunciata da 
Emma e la sua ostinata strategia tesa ad una immaginaria riconquista, mi
 riporta al ricordo della scomparsa precoce di mia madre e a 
quell’esigenza inappagata di un ricongiungimento impossibile: lo stesso 
grido interiore che vent’anni fa mi spinse a misurarmi con Ella. 
Ma 
se nel testo di Achternbusch possiamo presumere che sia il Figlio, in 
uno struggente rito di immedesimazione, a narrare in prima persona 
femminile la vita disastrosa della madre perduta; in Emma B. vedova Giocasta è dichiaratamente la Madre che racconta l’implacabile attesa del figlio tanto amato. 
Varchi di luce tagliano lo spazio come lame; un orologio a pendolo scandisce il tempo, inesorabile. 
Emma
 dà le spalle al pubblico, ha in mano una lettera, attende. Quando 
comincia a parlare, il flusso delle parole collega passato e presente 
aprendo uno spiraglio inquieto verso il futuro. 
La parola abita il corpo e diventa azione, partitura fisica e sonora che scolpisce lo spazio. 
Fioriscono
 immagini, ricordi, contrasti ed emozioni; da un piccolo baule, 
accompagnate dal canto dolcissimo di un basso profondo, emergono le 
tracce di un tempo lontano mai perduto; da uno scrigno prezioso - a 
coronamento del rito - gli strumenti di una seduzione immaginaria e 
liberatoria. 
Siamo in un comune interno borghese oppure in una 
stanza della memoria, una delle tante che ci affollano l’anima? Senza 
filtri, con sincerità sfacciata e provocatoria ma senza perdere 
l’eleganza dell’autore di classe, Savinio racconta la storia di uno 
strappo feroce che anela con sottile violenza alla ricomposizione, 
mentre le figure complementari della Madre e del Figlio prendono corpo 
nello stesso corpo nel corso del monologo, sottotitolo scelto 
dall’autore: un parlare a se stessi ma anche a qualcun altro, sempre in 
totale solitudine. 
… “Sola! Sola! Sola!”
La
 voce limpida di Iva Zanicchi canta “Testarda io, che ti amo più di 
così…”, le note di un tango allegro e struggente accompagnano la 
passione che non muore. E il rito, funebre e amoroso, si compie. 
Ma chi parla è un uomo o una donna? 
E chi sono io, terzo incomodo e curioso in questa storia dolceamara di legami negati e furenti? 
La risposta verrà nel corso del lavoro, ma se sarò fortunato non sarà una risposta definitiva…
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