da Plauto a Kleist
di Molière
adattato e diretto da Elena Bucci, Stefano Randisi, Marco Sgrosso, Enzo Vetrano
con Elena Bucci (Alcmena, La Notte), Giuseppe Calcagno (Giove), Marika
Pugliatti (Cleante, una dea), Stefano Randisi (Mercurio), Marco Sgrosso
(Anfitrione), Enzo Vetrano (Sosia)
luci Maurizio Viani - scenografia Carluccio Rossi - direttore di scena
Giuliano Toson - elettricista e datore luci Gianluca Bergamini -
macchinista Viviana Rella - fonico Filippo Trambusti - collaborazione
alle traduzioni Giuliana Zanelli - assistente alla regia Gaetano Colella
- organizzazione Emilio Vita (Argante)
produzione Teatro de gli Incamminati, Teatro Comunale Ebe Stignani di Imola, Diablogues, Le belle bandiere
24 ottobre 2000, Teatro Ebe Stignani, Imola (BO)
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Amoroso di Alcmena, Giove, entrato
Nell'aspetto del coniuge di lei,
Fa visita alla donna mentre quegli
I nemici combatte. Aiuta Giove
Travestito da Sosia, il dio Mercurio
Raggirando, al ritorno, Anfitrione e
Il servo suo. Lo sposo contro Alcmena
Ora aizza la folla e investe Giove
Nessuno il vero sposo sa distinguere
Eppure tutto si chiarisce.
(acrostico di Tito Maccio Plauto)
Abbiamo letto Anfitrione, definito da Thomas Mann la commedia più
bella del mondo, come una storia divertente e crudele, che fa ridere e
sorridere, ma al tempo stesso mette inquietudine e paura come una gemma
di equilibrio tra una comicità leggera, ma a volte farsesca, e una
drammaticità ironica che sconfina nella tragedia. Plauto stesso definì
la sua opera una tragicommedia, e veramente la beffa ordita dagli Dei ai
danni dei mortali allo scopo di soddisfare i loro umanissimi capricci,
accanto all'esilarante gioco degli scambi di identità e degli incidenti
che ne conseguono, produce una tensione via via crescente per
l'ineluttibilità spietata con cui lo scherzo si accanisce sui pesonaggi,
privandoli – oltre che della loro stessa identità – della capacità di
distinguere il vero dal falso, l'essere dall'apparire.
Pur nel rispetto della stesura drammaturgica, con l'intento di
riscoprire la freschezza, lo stupore e la verità della scrittura di
Molière, abbiamo affrontato il lavoro secondo la nostra poetica,
attingendo anche ad altre commedie scritte sull'argomento in un arco di
tempo che va dal 200 a.C. al 1929, dalla prima versione – quella
straordinaria di Plauto – a quella di Kleist, che traduce la commedia di
Molière arricchendola di affondi psicologici, a quella di Giraudoux,
che si diverte a stravolgere il rapporto uomini-Dei a favore di
un'umanità conscia dei propri limiti e orgogliosa delle proprie
condizioni.
Cosa c'è di più affascinante per un attore che porsi il problema
dell'identità? E cosa c'è di più accattivante per lo spettatore che
potersi godere dal vivo la visione dell'attore – per definizione
"giocatore" di maschere, acrobata tra finzione e realtà – che gioca con
la sua identità, inseguendo quella sottile linea d'ombra dove non si è
nè sè stessi nè altro da sé, ma pura creazione viva e nuova, che,
luciferina, vuole assomigliare all'opera degli Dei?
Di questi personaggi ci siamo innamorati, anche per la verità e
richhezza di spunti che ognuno degli Autori ha conferito loro: Sosia e
Anfitrione, piombati l'uno per via grottesca l'altro tragica in una
confusione esistenziale che porta all'annullamento di sé; Giove e
Mercurio, divinità prepotenti, crudeli e capricciose, ma al tempo stesso
smitizzate e toccate, nella loro olimpica solitudine, dai sentimenti
umani; Cleante, antesignana di tutte le servette comiche, focose e
petulanti; Alcmena, incarnazione della fedeltà all'amore e a sè stessa,
beffata per prima e forse con più crudeltà degli altri, ma nitida fino
in fondo per la tenacia del suo sentimento.
Ci è sembrato di trovare, in questo Anfitrione, tutti gli
elementi di rischio e di divertimento che cerchiamo in ogni nuovo
allestimento, e allo stesso tempo una ricca tradizione cui vale la pena
di ridare vita.
Ancora una volta, un'antica storia si riveste di sensi nuovi, vicini a
noi: non sentiamo un persistente disagio di fronte alle manifestazioni
di una realtà virtuale più vera del vero? E chi siamo più noi, persi in
una valanga di informazioni che ci ricordano ogni attimo la mutevolezza
incomprensibile dell'universo? Di fronte allo sperdimento e al capriccio
del caso o degli Dei le ancore di salvezza non cambiano: l'amore, il
patto di fedeltà, la lealtà, l'amicizia e, su tutto, la consapevolezza
della miseria e della meraviglia di essere uomini.