un'irritazione
dal romanzo di Thomas Bernhard
traduzione Agnese Grieco e Renata Colorni
riduzione drammaturgica, regia e interpretazione Marco Sgrosso
musiche
dal vivo Cristiano Arcelli (sassofoni, flauto traverso melodica e
clarinetto basso) - disegno luci Roberto Passuti (versione lettura concerto), Loredana Oddone (versione spettacolo) - cura del suono
Roberto Passuti - foto Paolo Cortesi - un ringraziamento a Elena Bucci per la sua preziosa
voce
produzione Le belle bandiere
con il sostegno di Regione Emilia-Romagna e Comune di Russi
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… e intanto correvo come fuggendo da un incubo, correvo, correvo sempre più velocemente… e pensavo, mentre correvo … che le persone che ho sempre odiato e odio adesso e sempre odierò… le maledico ma non posso fare a meno di amarle, e mentre correvo, correvo, pensavo che queste persone sono comunque le mie persone e sempre lo saranno, e correvo, correvo, e pensavo che su questa cosiddetta cena artistica io scriverò, pensavo, senza sapere che cosa, semplicemente ci scriverò sopra qualcosa, e correvo, correvo, e pensavo scriverò subito su questa cosiddetta cena artistica, non importa che cosa, solo subito, pensavo, immediatamente, pensavo, immediatamente, continuavo a pensare, subito e immediatamente, prima che sia troppo tardi…
Folgorato dall’efficacia della scrittura di Thomas Bernhard, incantato
dal suo stile fulmineo e ridondante, dall’intreccio di reiterazioni,
assonanze e dissonanze che rendono i suoi testi simili a partiture
musicali, l’idea di lavorare ad una riduzione di questo romanzo mi
seduceva da tempo, per il fascino che esercita su di me la figura del
narratore: uomo tormentato, aggressivo ma vulnerabile, simile ad un
animale braccato. Nel mio percorso in solo, questo ritratto si collega
ad altri due affrontati in passato e accomunati a lui dall’urgenza di
raccontarsi con impietosa sincerità attraverso un flusso inarrestabile
di parole, che battono sulla carta e sulla lingua come una pioggia di
pietre in corsa verso la conclusione. Dopo la straziata madre/figlio di
‘Ella’ e il tormentato “io” cui Dostoevskij dà voce nelle sue ‘Memorie
del sottosuolo’, l’approdo al drammaturgo di ‘A colpi d’ascia’ segna la
chiusura ideale di una trilogia dedicata al tema della confessione e
dell’identità spezzata.
Mi ha profondamente coinvolto l’analisi
della figura dell’artista in conflitto, con se stesso prima ancora che
con gli altri, e tanto più incatenato al suo universo quanto più
fortemente vorrebbe fuggirlo. Con la sua ironia caustica e spietata,
Bernhard scandaglia miserie, perfidie e ipocrisie dell’ambiente
artistico della sua amata e odiata Vienna, ma il livido quadro finale
che emerge da questo vorticoso ‘pamphlet’ non ha confini geografici.
Senza
sconti per nessuno, letteralmente a colpi d’ascia, la sua penna
implacabile traccia ritratti al vetriolo di artisti e intellettuali
riuniti nell’atroce mondanità della cena artistica come ad un festino di
maschere grottesche, in cui falsità, invidia, cinismo e arroganza
affiorano senza pudore e il tragico suicidio di un’amica comune diventa
palcoscenico di orrende e ridicole vanità.
Le proporzioni del
romanzo mi hanno costretto ad una spietata riduzione drammaturgica, ma ho cercato di conservare il senso più intimo
dell’opera di Bernhard, privilegiando lo smalto acido delle ‘cartoline’
più incisive, dalla sfacciata volgare arroganza dei coniugi Auersberger
alla memoria straziante di Joana, dall’esilarante tracotanza dell’attore
del Burgtheater al livore inesausto della scrittrice Jeannie Billroth.
Ad una prima, fortunata versione in forma di lettura concerto
(realizzata in collaborazione con Agorà), segue ora l’allestimento in
palcoscenico.
In scena tre luoghi della memoria disegnano
spazialmente la condizione di solitaria impotenza del narratore,
prigioniero della sua claustrofobica ossessione. La bergère rossa, in
posizione strategica, obliqua come i pensieri del protagonista, tana o
fossa in cui sprofonda o da cui risorge per dare sfogo alla sua
tormentata invettiva, e la piccola tavola elegantemente apparecchiata,
gelido frammento della cena popolata di presenze spettrali che fanno da
corona all’ego iperbolico dell’attore del Burg. Tra queste due schegge,
invase da lampi sonori e tagli di luce, un lampadario di cristallo
sospeso nel vuoto sovrasta lo spazio indefinito della coscienza, in cui
affiorano il ricordo doloroso di Joana, la gioia ebbra delle
registrazioni giovanili del tempo delle speranze irrimediabilmente
perduto, fino agli squarci della squallida conclusione della cena. Alla
passione disperata e all’asprezza delle parole, s’intrecciano le melodie
di Mahler, Purcell, Beethoven, le voci struggenti di Marlene e Dalida e
i fiati morbidi o stridenti dei preziosi strumenti del musico,
misterioso testimone distaccato di una confessione priva di catarsi.
Il Teatro di Radio3 (Speciale Epica Festival) Radio Emilia-Romagna (Speciale Epica)
recensione SanMarinoFixing recensione Corriere del Mezzogiorno intervista Orizzonti Inquieti